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Stati Uniti e Giappone: il futuro di un’alleanza

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La questione del dislocamento della U.S. Marine Corps Air Station Futenma (MCAS) (1) è probabilmente soltanto uno stratagemma politico utilizzato da Yukio Hatoyama (2) per ridisegnare i nuovi confini dell’alleanza strategica con gli Stati Uniti (3) quando sono trascorsi più di cinquant’anni dalla stipulazione del “Treaty of Mutual Cooperation and Security” (4) (19 gennaio 1960). Parte della classe politica giapponese vorrebbe, infatti, che l’alleanza militare con gli Stati Uniti fosse improntata su criteri di parità e uguaglianza, sia in termini di peso politico che decisionale. Inoltre, la necessità del Paese del Sol Levante di sviluppare adeguate capacità militari difensive sarebbe giustificata da ragioni di sicurezza nazionale per l’esistenza di potenziali minacce alla sua integrità territoriale rappresentate dal programma nucleare-missilistico della Corea del Nord (5) e dalla costante crescita militare della Cina (6), oltre che da un declino dell’influenza americana (leverage)  in Asia Orientale.

 

L’alleanza strategico-militare tra Stati Uniti e Giappone continua a rappresentare il principale deterrente contro le «ambizioni nucleari» della Guida nord-coreana Kim Jong-un ed è un elemento di dissuasione nei confronti della Cina impegnata nella modernizzazione del proprio apparato militare (7) e al cui interno si moltiplicano le spinte nazionalistiche e irredentistiche.

Tuttavia, nell’ipotesi, non escludibile a priori, che gli Stati Uniti recedessero dal loro impegno di mantenere una credibile forza deterrente in Asia Orientale, il governo di Tokyo si vedrebbe costretto ad intraprendere la strada dell’autonomia militare. Inoltre esso potrebbe rispolverare il vecchio progetto di Kiichi Miyazawa (8) di un Forum regionale sul modello della Conference on Security and Cooperation in Europe (CSCE) per il Nord-Est asiatico, di cui farebbe parte anche la Cina, dove poter discutere di questioni contingenti di sicurezza, il che rappresenterebbe un altro duro colpo per la tradizionale alleanza nippo-americana, il cui cardine principale è costituito dal Trattato di Mutua Cooperazione e Sicurezza tuttora in vigore. Del resto il Paese del Sol Levante, che non vuole farsi coinvolgere dagli Stati Uniti in una guerra contro la Cina nello Stretto di Taiwan, ha riconosciuto la sovranità cinese sullo Stato-isola di Taiwan (Formosa) nel 1972, allorché furono normalizzate le relazioni diplomatiche tra i due Paesi (9).

Il Giappone ha una differente percezione della minaccia militare della Corea del Nord poiché teme la possibilità di un attacco diretto contro il suo territorio, mentre per gli Stati Uniti, sebbene il loro soldati siano esposti al fuoco nemico, è soprattutto un problema di sicurezza internazionale legato alla proliferazione di armi nucleari nella Penisola di Corea (10).

Nel dicembre del 1998, inoltre, dopo che le autorità nord-coreane avevano testato un missile Taepodong 1 (11) tra le vive proteste degli abitanti dell’arcipelago (12), il governo di Tokyo pianificò con gli Stati Uniti la costruzione di un sistema di difesa militare missilistico (Navy Theater-Wide Defense) (13). Il regime di Pyongyang si era giustificato asserendo che si era trattato, in realtà, di un tentativo maldestro di mettere in orbita un satellite per le telecomunicazioni (agosto 1998). Da allora, tuttavia, il governo di Tokyo diventa paranoico ogni volta che le autorità militari nord-coreane eseguono nuovi test missilistici dalle piattaforme che si trovano sulla sua costa orientale. Pur avendo firmato nel 2002 una moratoria con il Giappone (Japan-North Korea Pyongyang Declaration) (14), la Corea del Nord continua, infatti, a testare i suoi vettori (15), tra cui il noto Taepodong 2 (16). Il Giappone, che dispone di sofisticati sistemi per il rifornimento in volo dei suoi caccia, potrebbe in qualsiasi momento, con un attacco preventivo (preemptive strike), radere al suolo gli impianti missilistici nord-coreani (17).

Gli Stati Uniti e il Giappone hanno dunque risposto alla politica militare della Corea del Nord (military first) con la progettazione di uno scudo missilistico difensivo. Il problema del suo finanziamento e la cautela mostrata da Washington per la decisa opposizione della Cina, che vedrebbe così ridotta la sua capacità deterrente (18), rischiano, però, di minare le basi su ci si fonda l’alleanza strategica tra Washington e Tokyo. Senza la protezione degli Stati Uniti, il Giappone sarebbe costretto a incrementare le sue spese militari e ad acquisire la sua bomba atomica. L’arma della «deterrenza nucleare» non è, del resto, un’ipotesi del tutto infondata considerato che il Giappone possiede il combustibile nucleare per produrre il materiale fissile (Pu-239) da impiegare nella fabbricazione delle testate nucleari e dispone di una tecnologia missilistica molto avanzata. Il lato positivo potrebbe, d’altra parte, essere costituito dal fatto che con la fine dell’alleanza nippo-americana cesserebbe del tutto il rischio per il Giappone di farsi trascinare in una guerra asiatica.

Una Corea del Nord dotata di armi nucleari è un vero e proprio grattacapo per la classe politica dirigente giapponese. La presenza di numerose basi militari americane nell’arcipelago giapponese, potenziale obiettivo di un attacco missilistico nord-coreano, rende, difatti, plausibile l’ipotesi di un nuovo conflitto nella Penisola di Corea dopo quello del 1950-‘53. Tra l’altro, il Giappone potrebbe subire un attacco con armi nucleari. E i due test atomici effettuati con successo dalle autorità militari nord-coreane rispettivamente nel 2006 e 2009, assieme a eventuali progressi scientifici nella miniaturizzazione dei vettori che conducono a bersaglio le testate nucleari, potrebbero indurre il governo di Tokyo a impiegare i suoi impianti nucleari anche per scopi bellici (19). Nell’era post-Guerra fredda, un valido deterrente contro un attacco militare è costituito, in realtà, non solo da efficaci sistemi militari difensivi che utilizzano al meglio armi convenzionali, ma soprattutto dalla «rappresaglia nucleare».

È dal 1947 che il Giappone affida alle forze americane di stanza nell’arcipelago la difesa del suo territorio. Il quid pro quo è: le basi miliari americane nell’arcipelago in cambio di precise garanzie sulla sua sicurezza. L’articolo 9 della Costituzione, imposto dagli Stati Uniti, vieta, dunque, al Giappone di acquisire una sua «capacità militare»(20). Oggi, comunque, una parte della leadership giapponese avverte sempre più la necessità di abbandonare il «principio di passivo allineamento» alla politica militare americana asserito dalla Dottrina Yoshida (21). E pone un’enfasi sempre maggiore sull’autonomia del Paese in termini di capacità militari e operative (22).

Infine la disputa nippo-americana sul dislocamento della U.S. Marine Corps Air Station Futenma nella prefettura di Okinawa, che ospita più della metà delle forze americane di stanza in Giappone (circa 50.000 uomini incluso il personale civile), è il sintomo più evidente delle tensioni attuali nelle relazioni tra i governi di Washington e Tokyo. Essa ha innanzitutto un’origine economica; in altre parole, chi deve sostenerne i costi. Quanto sia inoltre tediosa, per la stessa ragione, anche la questione legata al ritorno dell’isola sotto l’amministrazione del Giappone è ampiamente comprovato da alcuni documenti diplomatici desegretati (23).

Oggi esistono tuttavia parecchi problemi, piuttosto che fattori critici, qui di seguito esposti, che potrebbero alla lunga indebolire la solida alleanza strategico-militare tra Stati Uniti e Giappone:

 

1. la priorità della politica estera americana assegnata al Medio Oriente in ordine, in particolare, alla stabilizzazione dell’Afghanistan e allo smantellamento del programma di arricchimento dell’uranio (HEU) dell’Iran potrebbe «distogliere» l’attenzione degli Stati Uniti dai problemi legati alla sicurezza del Giappone, preoccupato per le «ambizioni nucleari» del regime di Kim Jong-un (e la crescita militare della Cina);

2. l’inquinamento acustico, dell’aria e del suolo dovuti alla presenza delle basi militari americane in Giappone è motivo di aspre diatribe tra i residenti e le autorità politiche locali e di scontri diplomatici tra i governi di Washington e Tokyo. I contrasti tra i due Paesi si sono acuiti per la spinosa «questione della U.S. Marine Corps Air Station Futenma» che si trova nella prefettura di Okinawa, il cui territorio è occupato per il 75% dagli americani (24). Al suo dislocamento dall’area residenziale densamente popolata di Ginowan, situata nella parte più meridionale dell’isola di Okinawa, alla baia di Henoko, nella sua estremità settentrionale che guarda verso il Kyushu, come ampliamento verso il mare dell’U.S. Marine Corps Camp Schwab e in cambio del trasferimento di 8.000 marines a Guam (25) entro il 2014, – secondo un accordo stipulato tra i governi di Washington e Tokyo nel 2006 (è stato l’ultimo atto rilevante della politica estera di Koizumi Junichiro)-, continuano, però, a opporsi gli abitanti di Nago (26) e il governatore di Okinawa, Hirokazu Nakaima (27). Poi, episodi di violenza sessuale come quello di cui fu vittima una dodicenne giapponese aggredita il 4 settembre del 1995 da due «marines» e da un marinaio americani e gli incidenti che vedono coinvolti mezzi militari americani, il più grave dei quali si è verificato nel 2004 quando un elicottero militare si schiantò contro un edificio dell’Università Internazionale di Okinawa, insieme concorrono a rendere più esplosivo il clima nell’isola;

3. il Giappone sostiene i costi maggiori per il mantenimento delle basi militari americane dislocate sul proprio territorio (all’incirca 4 miliardi di dollari annui);

4. i progressi scientifici della Corea del Nord sia nel settore nucleare che missilistico aumentano il livello di vulnerabilità del Giappone. Diventa prioritario per le forze difensive navali giapponesi (MSDF), indipendentemente dalle riassicurazioni degli Stati Uniti sull’efficacia del loro “ombrello nucleare”, incrementare il numero dei missili antibalistici SM-3 (Standard Missile-3) in grado di intercettare, fuori dell’atmosfera terrestre, missili di medio raggio come il Taepodong 1;  ciò anche in considerazione del fatto che la Cina è in grado di utilizzare il Global Positioning System (GPS) per individuare e colpire una portaerei americana, grazie ai dati sul suo posizionamento forniti da un satellite in orbita nello spazio extra-atmosferico;

5. il Giappone possiede le conoscenze scientifiche e il know-how necessari per costruire in tempi brevi armi atomiche da utilizzare come «deterrente» contro la Corea del Nord e altri potenziali nemici. Esso è l’unico Stato che non fa parte del club delle potenze nucleari al quale è concesso di sottoporre al «ritrattamento chimico» il combustibile utilizzato (spent fuel) nelle centrali nucleari. Ed è probabile che acquisisca la cosiddetta «second-strike nuclear capability» per deterrere attacchi nemici portati con armi convenzionali o nucleari (28);

6. l’arma strategica della «deterrenza nucleare» sarebbe impiegabile anche nei confronti della Cina legata, tra l’altro, alla Corea del Nord da un trattato di reciproca difesa siglato nel luglio del 1961 (Sino-North Korean Alliance Treaty) (29), e con la quale è in corso un’accesa disputa per il possesso delle isole Senkaku (Diaoyu in cinese)  (30) che si trovano a nord di Taiwan. Il rapido ammodernamento della sua flotta aero-navale, dotata anche di sommergibili equipaggiati con testate nucleari, giustifica, di fatto, il comprensibile allarmismo del governo di Tokyo (31);

7. i giapponesi sono già in grado di difendersi da soli. La seconda flotta navale del Pacifico, che dispone di sofisticati cacciatorpediniere e di caccia di ultima generazione, può respingere qualsiasi attacco nemico condotto con armi convenzionali contro il Giappone o navi mercantili nipponiche che solcano le acque internazionali;

8. al fine di sviluppare un proprio apparato militare difensivo, in accordo alle National Defense Program Guidelines del 2004 (32), il Giappone ha costruito il suo caccia FS-X (sul modello dell’F-16 Jet Fighter) utilizzando tecnologia aerospaziale americana, dispone di moderni sistemi di difesa anti-missile (che utilizzano l’Aegis destroyer ) e di un proprio sistema di allarme e di controllo aviotrasportato (AWACS), e, infine, può impiegare contro potenziali nemici le sue batterie di missili antibalistici Patriot (PAC-3) e una nuova generazione di aerei anti-sottomarino P-3C (con disegno e sviluppo completamente indigeni e originali). Il Paese del Sol Levante, in cambio, ha messo a disposizione degli Stati Uniti le sue conoscenze tecnologiche per la costruzione degli aerei da combattimento invisibili F-117° (stealth fighter), impiegati con successo nella guerra del Golfo;

9. infine, vi è il discorso della credibilità e del prestigio internazionale derivanti dall’acquisizione dello status di potenza nucleare per uno Stato che ambisce a far parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (mentre il presidente americano Barack Obama sembrerebbe intenzionato ad appoggiare la candidatura dell’India) (33).

La Cina è stata più volte menzionata nel corso del presente lavoro poiché essa costituisce con gli Stati Uniti e il Giappone il cosiddetto “triangolo strategico” dell’Asia Orientale. Il Paese del Centro ha, infatti, un ruolo non secondario nella preservazione della pace e della sicurezza nella regione asiatica (34).

Il consolidamento dei rapporti bilaterali sino-americani in termini di «strategic partenership» (35), d’altro canto, potrebbe indebolire la tradizionale alleanza militare tra Stati Uniti e Giappone. Né l’abnorme crescita militare della Cina può passare inosservata (36) in quanto sono in gioco gli equilibri di potere (balance of power) nella regione (37). In ogni caso, i rapporti economici privilegiati che gli Stati Uniti intrattengono con la Cina (38) e la loro cooperazione strategica nella regione (39) contribuiscono insieme al generale inasprimento delle relazioni tra Stati Uniti e Giappone. Alla Cina, invece, non piace affatto l’idea che il Giappone possa dotarsi di armi atomiche per contenere la minaccia militare della Corea del Nord poiché una corsa al riarmo in Asia Orientale (domino effect) limiterebbe la sua «capacità nucleare deterrente»; similmente, Pechino considera il sistema TDM nippo-americano uno strumento impiegato dagli Stati Uniti e dal Giappone per neutralizzare un attacco missilistico preventivo per impedire che Taiwan diventi, de jure, uno Stato indipendente. Inoltre la disputa territoriale in corso con il Giappone per l’appartenenza delle isole Senkaku/Diaoyu serve alla Cina, se non altro, per verificare la tenuta dell’alleanza nippo-americana (40).

 

Conclusioni

Quantunque l’alleanza strategico-militare con gli Stati Uniti non sia per ora in discussione, il consenso dei giapponesi sulla permanenza delle basi americane nell’isola di Okinawa, a 67 anni circa dalla fine della seconda guerra mondiale, è notevolmente diminuito e potrebbe alla lunga rivelarsi un fattore critico o un motivo di dissidio insuperabile nei rapporti tra Tokyo e Washington. Tuttavia, nuovi scenari internazionali determinati, ad esempio, dalla progressiva riduzione dell’impegno politico-militare degli Stati Uniti in Asia Orientale, potrebbero spingere il Giappone a intraprendere la strada dell’autonomia militare.

Avere la stessa percezione del pericolo, rappresentato, in primis, dalla minaccia nucleare-missilistica nord-coreana e dalla smisurata crescita militare della Cina, contribuisce a rafforzare le relazioni tra i due Paesi.

Il perseguimento di obiettivi strategici comuni non può, in altre parole, che garantire la longevità del Treaty of Mutual Cooperation and Security. Ma è importante, a questo proposito, che Washington rinunci all’idea che il Paese del Sol Levante sia legato agli Stati Uniti da un rapporto di sudditanza o subalterno e stabilisca invece con esso relazioni «più eque» in ossequio ai principi di «integrazione», di «condivisione del potere decisionale», di «inter-operabilità» (active alliance relationship), mentre quest’ultimo mira a incrementare il numero dei mezzi militari a sua disposizione, oltre che ad acquisire una maggiore capacità d’intervento fuori dal proprio territorio, per mere ragioni di sicurezza nazionale (41).

 

* Giuseppe Cursio si è laureato in Lingue e Letterature Straniere Moderne e in Scienze Politiche presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli e ha conseguito un master in Politica e Diplomazia in Corea del Sud (SungKyunKwan University, Seoul). Si occupa, in particolare, di problematiche dell’Asia Orientale come giornalista freelance.

 




NOTE:

1.  Blaine Harden, “Obama, Japanese premier at odds over air station negotiations. Hatoyama says talks, as viewed by U.S., are ‘meaningless’”, The Washington Post, 17 novembre 2009.

2. Il leader del Partito Democratico del Giappone (DPJ) che ha dovuto rassegnare le proprie dimissioni da primo ministro per non aver mantenuto la promessa di far dislocare la base militare americana fuori dal territorio della prefettura di Okinawa e che ha consentito al suo partito di sconfiggere alle elezioni politiche del 2009 il Partito Liberale del Giappone (LPJ), ponendo fine al suo pressoché ininterrotto dominio politico (dal 1945).

3.  “Hatoyama girds to review security alliance with U.S.”, The Japan Times, 21 dicembre 2009.

4.  L’alleanza tra i due Paesi ha per obiettivo la «preservazione della pace e della sicurezza in Asia Orientale», nonché la difesa dell’integrità territoriale del Giappone.

5.  “Defense for the next decade”. The Japan Times, 23 dicembre 2010.

6.  Mark Dodd and Debbie Guest, “Japan bolsters forces amid Chinese military splurge”, The Australian, 2 maggio 2009.

7.  Edward Cody, “China Boosts Military Spending”, The Washington Post, 5 marzo 2007.

8.  Si tratta della cosiddetta «Miyazawa Doctrine» dal nome del primo ministro giapponese Kiichi Miyazawa (1991-1993).

9.  Si veda al riguardo il Joint Communique of the Government of Japan and the Government of People’s Republic of China [http://www.mofa.go.jp/region/asia-paci/china/joint72.html].

10.  Richard J. Samuels, “Securing Japan: Tokyo’s Grand Strategy and the Future of East Asia”, Cornell University Press, Ithaca (NY), 2007, p. 153.

11.  Si tratta di un missile di medio raggio (2,900km) in grado, si presume, di condurre a bersaglio testate nucleari.

12.  “Anger at North Korean missile launch”, BBC NEWS, 1 settembre 1998    [http://news.bbc.co.uk/2/hi/161513.stm].

13.  Esso utilizza cacciatorpediniere Aegis dotati di SM-3 (Standard Missile-3) e PAC-3 (Patriot Advanced Capability-3). È prevista anche costruzione di alcuni sistemi difensivi – spaziali per respingere attacchi nemici portati con armi nucleari; si veda al riguardo: Brian T. Kennedy, “Japanese Missile Defense Matters”, The Wall Street Journal, 9 novembre 2009.

14.  “Japan-North Korea Pyongyang Declaration”, BBC NEWS, 17 settembre 2002 [http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/2264163.stm].

15.  CHOE SANG-HUN, “U.S. Condemns North Korean Missile Tests”, The New York Times, 5 luglio 2009; Peter Foster, “North Korea launches missile in ‘satellite test’”, Telegraph.co.uk, 5 aprile 2009 [http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/asia/northkorea/5108535/North-Korea-launches-missile-in-satellite-test.html].

16.  È un missile «strategico» che può coprire una distanza massima di 10.000 chilometri e, quindi, in grado, se perfezionato, di colpire  obiettivi posti alla stessa distanza dall’Alaska o dalla costa occidentale statunitense.

17.  Kevin Cooney, “Japan’s Foreign Policy Since 1945”, M.E. Sharpe, New York, 2007, p. 100.

18.  Edward Lanfranco, “China warns U.S., Japan against missile defense” The Washington Times, 6 giugno 2007.

19.  Emma Chanlett-Avery, Sharon Squassoni, “North Korea’s Nuclear Test: Motivations, Implications, and US Options” Congressional Research Service, The Library of Congress, 24 ottobre 2006, p. 9 [http://www.fas.org/sgp/crs/nuke/RL33709.pdf].

20.  Il testo originale, in inglese, dell’art. 2 della Costituzione giapponese, modellato sul Patto Briand-Kellogg del 1928 è il seguente: «Aspiring sincerely to an international peace based on justice and order, the Japanese people forever renounce war as a sovereign right of the nation and the threat or use of force as a means of settling international disputes. In order to accomplish the aim of the preceding paragraph, land, sea and air forces, as well as other war potential, will never be maintained. The right of belligerency of the state will not be recognized» [http://afe.easia.columbia.edu/japan/japanworkbook/govpol/constitution.html#war].

21.  Dal nome del primo Ministro giapponese Yoshida Shigeru (1946-1947; 1948-1954), la cui attività politica aveva avuto come obiettivo primario la ricostruzione economica del Paese nel dopoguerra, confidando invece nella potenza militare americana per la difesa della sua integrità politico-territoriale.

22. «…Most recently, Tokyo has been expanding its military capability to hedge against both Chinese and North Korean assertiveness and because its uncertainty about America’s future role in Asia…», in Leslie H. Gelb, “Power Rules: How Common Sense Can Rescue American Foreign”, HarperCollins Publishers, New York, 2009, p. 201.

23.  “Declassified papers confirm existence of secret Okinawa financial pact”, JapanToday, 22 dicembre 2010.

24.  “Gov’t delays Futenma decision until next year”, JapanToday, 15 dicembre 2009; Martin Fackler, “Japan Delays Decision on Moving U.S. Marine Base”, The New York Times, 16 dicembre 2009.

25.  Isola del Pacifico dove è operativa la U.S. Andersen Air Force Base.

26.  Martin Fackler, “Japan Relents on U.S. Base on Okinawa”, The New York Times, 23 maggio 2010.

27.  Hiroko Tabuchi, “Okinawa Re-elects Opponent of U.S. Base”, The New York Times, 28 novembre 2010.

28.  Judith F. Kornberg, John R. Faust, “China in World Politics: Policies, Processes, Prospects”, Lynne Rienner Publishers, Boulder (CO), 2005, p. 203.

29.  Peraltro la Cina fornisce alla Corea del Nord gli aiuti finanziari, alimentari ed energetici necessari per la sua sopravvivenza.

30.  Chris Buckley, “Japan and China seek agreement beyond islands row”, REUTERS, 28 febbraio 2009 [http://www.reuters.com/article/idUSTRE51R1AN20090228].

31.  David Pilling, “Japan feels threat of China’s military”, The Financial Times, 6 luglio 2007.

32.  Il taikō del 2004 (oggi chiamato il National Program Defense Guidelines – NDPG in inglese) è stato il primo documento sulla sicurezza nazionale che ha apertamente identificato nella modernizzazione militare della Cina una potenziale minaccia per il Giappone.

33.  Scott Wilson, Emily Wax, “Obama endorses India for U.N. Security Council seat”, The Washington Post, 8 novembre 2010.

34.  Reinhard Drifte, “The US-Japan-China Security Triangle and the Future of East Asian Security”, in “Security in a Globalized World: Risks and Opportunities”, edito da Laurent Goetschel, Nomos Verlag: Baden-Baden, 1999, p. 1.

35.  “U.S.-China Joint Statement”, The White House, Office of the Press Secretary, 17 novembre 2009 [http://www.whitehouse.gov/the-press-office/us-china-joint-statement].

36.  Arnaud de La Grange, “Washington s’inquiète de la puissance militaire chinoise”, Le Figaro, 27 marzo 2009.

37.  Michael Richardson, “China’s navy changing the game”, The Japan Times, 13 maggio 2010.

38.  Funabashi Yōichi, “Where Does Japan Fit in the China-Japan-U.S. Relationship?”, in “New Dimensions of China-Japan-U.S. Relations”, edito da Japan Center for International Exchange, Tokyo, 1999, p. 79.

39.  Keith B. Richburg, “Obama, Hu vow to continue to strengthen partnership”, The Washington Post, 17 novembre 2009; “Obama and Hu – moving towards”, russiatoday.com, 22 novembre 2009 [http://rt.com/Top_News/2009-11-22/barack-obama-hu-jintao.html].

40.  Masami Ito, “Kan’s foreign policy plate full, waiting to be attacked”, The Japan Times, 1 gennaio 2011.

41.  Kosuke Takahashi, “Japan gets tough with new defense policy”, Asia Times Online, 21 dicembre 2010.

 


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